Sociologia :Alain Touraine , Jurgen Habermas, L' agire comunicativo, Niklas Luhmann, Pierre Bourdieu

Il ritorno della sociologia in Europa 
 La sociologia e la società postindustriale Più ci si avvicina ai nostri giorni, più diventa difficile distinguere nel fitto panorama delle teorie contemporanee quelle di maggiore importanza e significato. Si può comunque notare una rinascita della sociologia europea attraverso gli studi di alcuni autori particolarmente ricchi di intuizioni utili alla comprensione della società odierna, anche se, conformemente alla tradizione europea, poco attivi sul piano delle ricerche empiriche. In molti casi si assiste a un ritorno in auge degli interessi più globali tipici delle sociologie "macro", senza però che vada perso l'insegnamento derivato dalla tradizione fenomenologica. Ampia parte del pensiero sociologico contemporaneo si sforza ovviamente di comprendere, attraverso ricerche, teorie e concetti, gli aspetti caratteristici delle società attuali, che si sono ulteriormente trasformate rispetto ai decenni centrali del XX secolo. Negli ultimi cinquant'anni, non solo l'industrializzazione del mondo occidentale si è definitivamente compiuta, ma si è avviato anche un processo di deindustrializzazione: una riduzione dell'incidenza del lavoro di fabbrica a favore degli impieghi nelle attività dei servizi (un esempio su tutti: l'informatica), che ha condotto al profilarsi di un nuovo tipo di società, chiamata postindustriale. Parallelamente, una serie di eventi storici importanti, come la diffusione di Internet e la caduta del muro di Berlino (e della rigida contrapposizione tra Est comunista e Ovest capitalista), ha prodotto un indebolimento globale delle barriere erette fra Stato e Stato, conducendo quindi, attraverso il processo di globalizzazione, a un ampio "rimescolamento" delle popolazioni e delle culture. Ne è conseguito un affievolimento delle certezze, una trasformazione dei modelli di comportamento, una messa in questione delle norme tradizionali: in breve, ciò che viene abitualmente chiamato una "crisi dei valori", ma che altro non è che una transizione verso una società più articolata e complessa, in cui aumentano, insieme alle possibilità a disposizione degli individui, l'incertezza personale, il ri schio collettivo, la variabilită di culture e valori della gente, l'imprevedibilità del comportamento altrui, l'importanza della conoscenza nel determinare i destini individuali. 

 Alain Touraine
 A parere di Alain Touraine (1925) ciò che caratterizza questi ultimi decenni non è tanto l'imponente mole di trasformazion in campo economico o sociale, bensi l'avvento di un nuovo modo di produrre in cui la tecnologia gioca un ruolo fondamentale. Anzi, ne è lo stramento principale. Che cosa produce, esattamente, la società postindustriale Informazione. Un ingente flusso di notizie circola da una parte all'altra del mondo, servendosi di mezzi tradizionali, come la radio o la televisione, o di strumenti di nuova invenzione, come il web e le piattaforme satellitari. In formare, d'altro canto, non significa di per sé comunicare, perché l'informa zione è la semplice trasmissione di una notizia, mentre la comunicazione implica uno scambio tra due o più persone in maniera che entrambe possano avvantaggiarsi del messaggio che hanno ricevuto. In altri termini, la comunicazione ha una natura relazionale. Un ulteriore elemento qualifica la società postindustriale. Nella società industriale l'organizzazione del lavoro e la produzione di massa, inaugurata con la comparsa delle catene di montaggio, erano dominate dal principio della razionalizzazione. Fu per razionalizzare meglio il lavoro quotidiano che si procedette alla divisione dei compiti, in maniera che l'azione degli individui fosse solo il segmento di un'azione collettiva più ampia e strutturata, in vista di un obiettivo comune. Nella società postindustriale, invece, le parole d'ordine sono diventate la personalizzazione e la soddisfazione del cliente. Si è fatto strada, in sostanza, l'imperativo di andare incontro alle richieste del mercato, di creare generi di consumo sempre differenti e rispondenti alle necessità degli individui. Che cosa vuole da me l'acquirente? Che cosa posso offrirgli per soddisfare i bisogni di cui è portatore? Queste sono le domande alle quali il sistema industriale è chiamato a dare una risposta, e ciò modifica le relazioni tra le persone in una direzione che sulla divisione del lavoro privilegia l'informazione, la comunicazione, la soddisfazione dei bisogni. 


 Jürgen Habermas
 Il tedesco  Jürgen Habermas (1929) è l'erede importante della teoria crítica della Scuola di Francoforte, benché se ne di soosti alquanto e introduca nella propria concezione elementi tratti da alte tradizioni, prima fra tutte quella fenomenologica. Egli muove dall'osservazione che nella società attuale convivono gruppi che possono essere molto diversi per provenienza etnica, per educazione e per stili di vita, e che quindi possono avere valori e norme di comportaments assai contrastanti tra loro. Non è corretto, infatti, quanto Parsons dá per scontato, cioè che i membri di una determinata società si riconoscano una nimemente in una medesima cultura. Ciò per altro non significa che nella tarda modernità non esistano più prospettive in comune, quanto piuttosto che la condivisione rappresenta un punto di arrivo di uno sforzo collettivo, e non un elemento che si può dare per scontato in partenza. Perco è di fondamentale importanza capire come costruire un terreno comuned'intesa. A questo arduo compito Habermas dedica la sua teoria dell'agire comunicativo. Se si scarta l'opzione di prevalere sugli altri utilizzando la violenza, che sancisce l'affermazione del diritto del più forte, per risolvere le questioni d'interesse collettivo bisogna ricorrere al dialogo, ovvero all'agire comunicativo. Ciò presuppone che i soggetti siano interessati al raggiungimento del consenso attraverso la ragione. Se anche solo una delle parti in causa non pensa che trovare una convergenza rappresenti un esito auspicabile in sé, non vale la pena di avviare il confronto. Si tratterebbe soltanto di una perdita di tempo. Perché mai le persone dovrebbero desiderare di andare d'accordo? Habermas ritiene che esse possiedano una sorta di attitudine a comunicare, a differenza per esempio degli animali più evoluti. Le scimmie sono in grado di trovare degli accordi temporanei e di coordinare le rispettive azioni. Hanno anche un linguaggio, ma questo non basta. Manca loro l'intenzionalità comunicativa, cioè la capacità di utilizzare il linguaggio per interagire con qualcuno e convincerlo. Trovare un accordo, in sostanza, è una prerogativa esclusiva degli esseri umani.


 L'agire comunicativo
 Come funziona l'agire comunicativo? Due o più individui si pongono l'uno di fronte all'altro e si ascoltano a vicenda, intervenendo a turno per formulare rilievi, obiezioni e, all'occorrenza, critiche. Quando ciascuno parla, esercita la "pretesa" che le proprie affermazioni siano valide, almeno finché l'interlocutore non ne dimostri l'infondatezza. Uno dei primi campi in cui si realizza tale pretesa è il livello oggettuale, vale a dire l'identificazione delle cose e delle situazioni che ci circondano. Ciò che per una ragazza è una forcina potrebbe essere per un'altra persona un attrezzo da scasso e solo attraverso una negoziazione mirata all'intesa riusciranno a capire che stanno parlando della stessa cosa. Le persone, tuttavia, di solito esercitano una pretesa di validità anche quando è in gioco la loro credibilità personale. Se dicono una cosa, non lo fanno per ingannare il prossimo, ma perché credono che la situazione stia effettivamente nei termini in cui l'hanno posta: è il livello soggettivo dell'agire comunicativo. Ho dimenticato il cellulare in classe, ma quando torno per prenderlo non c'è più. Quando racconto il fatto al dirigente scolastico, egli dice di credermi e, anche se non ha assistito direttamente alla scena, si fida di me e non pensa che io lo stia ingannando: tra me e lui, insomma, si è raggiunto un accordo. Infine, gli individui possono cercare di costruire un consenso intorno a nor- me e a regole, come quelle che stanno alla base del loro vivere quotidiano: è il livello intersoggettivo dell'agire comunicativo. Anche in questo caso è però necessario che ciascuno si ponga in un atteggiamento in un certo senso "sincero" e che gli altri credano nella sua sincerità. È cioè necessario che tutti affrontino la questione (la definizione di una certa norma, per esempio se l'immigrazione clandestina sia o non sia da considerare un reato) a partire dalla volontà di trovare un'intesa razionale con gli altri. È ovvio che, per raggiungere un accordo tra opinioni opposte, può essere necessario un dialogo lungo e faticoso. Può anche darsi, in verità, che un punto in comu- ne non si trovi mai, perché le parti sono troppo distanti e non riescono ad avvicinarsi per la forza della cultura e delle convinzioni incarnate in loro. 




 Niklas Luhmann
 Mentre Habermas parla di "decisione", "confronto" "raggiungimento del consenso", conferendo una rilevanza centrale alla volontà dei soggetti che agiscono nella conservazione dell'ordine sociale, nella riflessio ne di Niklas Luhmann (1927-1998) le persone non hanno grande importanza. La soggettività e l'intenzionalità sembrano sparire per far posto al sistema una realtà costituita da più elementi interdipendenti tra loro i quali, come visto a proposito del funzionalismo, formano un tutto organico. Quello di sistema è per Luhmann un concetto che si applica indifferentemente a mondi e contesti diversi. Se consideriamo la famiglia nucleare tipica della società contemporanea, per esempio, essa è un sistema di cui fanno parte marito, moglie e figli. Amici, parenti e conoscenti saranno invece l'ambiente, cioè il mondo esterno con cui la famiglia si relaziona e scambia continuamente. Ma qualora dalla famiglia spostassimo il focus sul singolo, inteso a sua volta come sistema, anche il padre, la madre e i fratelli ne sarebbero esclusi e andrebbero a collocarsi nella sfera "ambientale". Che cosa è sistema e che cosa ambiente dipende dal punto di vista dal quale osserviamo i problemi. L'aspetto importante è che, quale che sia la prospettiva adottata, secondo Luhmann nessun sistema, e quindi anche nessun sistema sociale, può essere compreso a prescindere dall'ambiente con cui si relaziona. Ogni mutamento dell'ambiente impone al sistema un processo di adattamento alla nuova situazione, e quindi un analogo mutamento. Sistema e ambiente stringono tra loro una relazione che implica, appunto, un continuo scambio e un interminabile adattamento reciproco. Quando questo non si verifica più, si cade nell'autore- ferenzialità del sistema, cioè nella sua tendenza a chiudersi in se stesso, che lo rende incapace di rispondere alle sfide postegli dall'ambiente. La qual cosa potrebbe condurlo alla dissoluzione. Viceversa, un sistema che funziona, che reagisce all'ambiente e non si chiude nell'autoreferenzialità, possiede l'ulteriore caratteristica dell'autopoiesi, ovvero la capacità di sostenersi e di riprodursi, di resistere nel tempo, come un'azienda che si sa adattare bene alle fluttuazioni del mercato il suo ambiente), e di dar vita a nuovi sistemi, come una famiglia nobiliare che, adattandosi alle trasformazioni del mondo aristocratico (il suo ambiente), di volta in volta allunga ed estende il proprio albero genealogico .


Pierre Bourdieu 
Anche per il francese Pierre Bourdieu (1930-2002) come per Luhmann, è necessario abbandonare una visione della società trop po ancorata alle scelte consapevoli dei soggetti. Diversamente da Luhmani, tuttavia, Bourdieu non ricorre alla teorizzazione dei sistemi sociali, ma alla de- scrizione dei meccanismi che in qualche maniera costringono gli individui ad agire in un modo o nell'altro, anche senza che questi ne siano consapevoli I membri di una corte reale, per esempio, imparano "sul campo che cosa convenga fare nelle diverse situazioni e che cosa, invece, sia assolutamente da evitare. Quando parla il sovrano si sta in silenzio, se rivolge una domanda è bene assecondarlo; l'abito deve essere elegante ma mai più lussuoso di quello del re ecc. In sostanza, i cortigiani assumono col tempo dei comportamenti la cui osservanza consente loro di muoversi con agio in quell'ambiente. Nessu- no però ha insegnato loro come si fa, né un nuovo arrivato potrebbe impararlo agilmente. Essere un buon cortigiano non è una questione di conoscenze, e nemmeno di semplice esercizio, ma bisogna esserci nati e cresciuti dentro. Questo è ciò che Bourdieu chiama habitus. L'habitus L'habitus è la capacità di intendere istintivamente le regole vigenti in u un dato contesto e di adattarvisi con naturalezza e spontaneità. Si tratta di abitudini collettive che variano a seconda del gruppo sociale di appartenenza, della classe e del ceto, e che predispongono l'individuo, senza che lui se ne accorga, a svolgere bene certe attività e non altre. Tutti sanno che per andare a un colloquio di lavoro in banca è buona norma vestirsi in giacca e cravatta. Ma non tutti sanno fare il nodo alla cravatta con lo stesso stile e la stessa perfezione. Chi l'ha sempre fatto, chi per esempio proviene da una famiglia borghese in cui non è inusuale indossare la cravatta nelle occasioni di festa, avrà probabilmente acquisito una dimestichezza molto maggiore di chi proviene da una famiglia operaia. Il suo nodo sarà distintamente miglio- re, e questo gli darà maggiori chances di ottenere quel posto. Naturalmente nessuno ammetterà mai di scegliere i nuovi dipendenti in base al nodo della cravatta o altre sciocchezze simili, eppure ricerche empiriche (in cui Bourdieu è stato particolarmente attivo) dimostrano che avviene proprio così. L'habitus influisce enormemente sui nostri comportamenti, e fa sì che taluni si trovino a loro agio più di altri in certe situazioni sociali, traendone profitto. L'habitus, insomma, si forma a partire dalle esperienze maturate nel corso dell'esistenza e poi si standardizza, nel senso che lo incorporiamo e ce ne serviamo per orientarci nel mondo, per strutturare i rapporti con le persone e con le cose. Esso condiziona il nostro stile di vita, influisce sul modo di consumare di ciascuno e contribuisce anche a strutturare il gusto delle persone. Eppure, potrebbe obiettare qualcuno, il gusto sembra essere l'espressione di preferenze individuali. Quando diciamo: «Questo mi piace e quest'altro no» non stiamo forse manifestando un'inclinazione del tutto personale, qualcosa che ci distingue da chi ci sta intorno? Per Bourdieu non è così. Come avviene per il nodo della cravatta, anche il piacere per l'arte contemporanea, quello per la musica classica o quello per il whiskey torbato delle isole scozzesi sono il frutto di un lungo processo di raffinamento ed educazione del gusto che avviene all'interno delle classi sociali.
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